L’artista viennese crea nella sua città d’origine una installazione site specific che ricopre la celebre torre Ringturm. Nel solco di una iniziativa cui hanno aderito numerosi protagonisti della scena creativa mondiale.
Il committente delle installazioni è la potente società VIG (Vienna Insurance Group), tradizionale inquilina del super-edificio, commissionando il lavoro ad artisti di successo, austriaci e non. Ci son passati Christian Ludwig Attersee, Robert Hammerstiel, Hubert Schmalix, Dorota Sadovska, Arnulf Rainer, Mihael Milunovic e altri, artisti selezionati per le rispettive capacità tecnico-creative, doti adatte a sviluppare opere su una superficie perimetrale di 4mila metri quadrati, sapendo inquadrare in questa sorta di display da fantascienza lo spirito, i sogni o le afflizioni di un vissuto sociale.
A dire il vero, però, era qualche anno che un’opera, decisamente site specific, non spiccava così tanto nettamente, giorno e notte, vuoi per effetto cromatico-percettivo, vuoi per efficacia figurativa. Tocca risalire all’estate del 2011, precisamente alla poetica intimista di Familiensinn, di Xenia Hausner, per avere il ricordo di una illustrazione energica quanto sottilmente penetrante. Ora, il colosso figurativo di Gottfried Helnwein sta dominando lo skyline della Innere Stadt, e l’effetto è tanto più dirompente se ci si posiziona in lontananza, sulla sponda opposta del Donaukanal, tenuto conto che la metropoli austriaca relega la costruzione dei grattacieli in aree distanti dal centro e dai quartieri di fondazione storica.
VIOLENZA CONTEMPORANEA
Helnwein è artista largamente noto nel proporre soggetti iconicamente ingigantiti e ad alta definizione. Lo fa molto bene in questo abnorme involucro, composto di 30 bande in particolare tela di vinile, ciascuna larga 3 metri, il cui montaggio installativo, da parte di un team specializzato, ha richiesto 160 ore di lavoro.
L’artista viennese si è prodigato a espandere e sublimare in forma estrema la sua ricorrente tematica che parla instancabilmente di violenza insita nella nostra epoca, destinata a lasciare tracce profonde e disturbanti nelle coscienze di fanciulli e di adolescenti. Una gioventù i cui volti angelici esprimono una innocenza non ancora perduta. Solitamente, nelle sue opere, la violenza si percepisce come fantasma latente; in questo caso no! Sulla facciata più esposta alla vista c’è l’imponente figura solitaria di una giovinetta bionda, appena coperta da una canottiera bianca, che imbraccia un mitragliatore da combattimento, prendendo di mira un nemico che resta fuori quadro. Fa seguito, su due lati contigui dell’edificio, il divampare infernale di fiamme per effetto di una violentissima esplosione: probabile allusione alle carneficine quotidiane in zone di guerra. La quarta faccia di questo apocalittico “affresco” appare come quieta e ambivalente composizione che fa coincidere due opposti: il momento anamnestico e il superamento catartico della narrazione, mostrando null’altro che una superficie azzurra dominata in alto da una breve scritta cubitale. “I SAW”, io ho visto…
By Franco Veremondi – Artribune.com
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