A cento anni dalla nascita, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma accende i riflettori sulla parabola di Mimmo Rotella. Illustrando le tappe fondamentali della sua carriera.
La tappa successiva sono i Retro d’affiches (1953-1961), la cui componente informale è vicina alla pittura di Alberto Burri, il quale (come ma prima di Rotella) si affidava “agli umori della materia”. Le opere più riuscite sono quelle radicali, come 3000 anni avanti Cristo (1954), Velato sotto (1955) o Rosso romano (1956), dove la materia rivela la propria trama, senza la presenza di elementi figurativi riconoscibili che ne disturbino la lettura. La sezione seguente riunisce i Riporti fotografici (1963-1980) e gli Artypos(1966-1974), dove Rotella passa dal manifesto readymade a sperimentazioni realizzate attraverso proiezioni oppure utilizzando manifesti scartati dalle tipografie: i temi scelti vanno dalle immagini di cronaca (Jacqueline Kennedy, 1963) a temi politici (Italy’s Trail, 1973) fino a poster pubblicitari (Olio extra, 1966). Decisamente sorprendenti i Blanks (1980-1982): manifesti coperti da veline di carta colorata, che l’artista realizza nell’arco di due anni, dopo essersi trasferito da Parigi a Milano. Gesti estremi che costituiscono, come sottolinea Antonella Soldaini, “un punto di rottura con i vecchi codici di riferimento, con quell’accumulo di significati che lo hanno supportato per decenni”.
“È la rappresentazione della fine di un’immagine”, spiega l’artista, che soffre perché avverte l’indifferenza del pubblico, abituato al lavoro precedente, davanti ai Blanks. Si tratta invece di una produzione molto innovativa, e uno dei tanti meriti di questa mostra è averne sottolineato la rilevanza, all’interno del percorso pluridecennale di Rotella.
Mimmo Rotella Manifesto. Exhibition view at Galleria Nazionale d’arte Moderna e Contemporanea, Roma 2018. Photo Giorgio Benni
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