Circa duecento sono gli scatti presentati come voci narranti; tra le linee sinuose dei corpi e gli sguardi persi si determinano i passi di un viaggio intimo, nuovo. Fotografie scattate negli Anni Venti a Parigi, dove Man Ray diviene protagonista assoluto dello scenario dadaista prima, surrealista poi. Tutto il percorso conduce l’osservatore al riconoscimento di una nuova coscienza percettiva, dove la figura di Man Ray è un vissuto in espansione creativa, il comunicatore di una sensualità capace di mostrare se stessa e, allo stesso tempo, di dettare nuove letture. Una mostra unica, sia per la qualità delle fotografie esposte sia per il taglio originale nell’accostare l’elemento biografico a quello artistico. Attraverso i suoi rayograph, le solarizzazioni, le doppie esposizioni, il corpo femminile è in continuo mutamento di forme e significati, divenendo astratto, oggetto di seduzione, memoria classica, ritratto realista, in una leggera ed elegante riflessione sul tempo e sui modi della rappresentazione, non soltanto fotografica. Chiudono la mostra due nuclei significativi dell’opera dell’autore: The Fifty Faces of Juliet (1941-1955) e La mode au Congo (1937). Parliamo di un omaggio alla moglie Juliet Browner, dove lei presta la sua bellezza e il fotografo, con fare pittorico, ne traduce l’eleganza in termini artistici. La mode au Congo è invece una commissione: gli viene richiesto di realizzare fotografie di cappelli per un servizio di moda. Qui Man Ray sostituisce i cappelli con oggetti improbabili, come un cestino per il pane, uno spolverino, insomma una lettura ironica del circuito “moda”.
By Grazia Nuzzi – artribune.com
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