LE RIFLESSIONI DEL FILOSOFO MARCO SENALDI MUOVONO DALLE IDEE DELLO PSICOLOGO HUGO MÜNSTERBERG: FAR SCOMPARIRE I CONFINI PER OTTENERE LA PACE INTERNAZIONALE. ANCHE DUCHAMP ERA D’ACCORDO. E OGGI, IN PIENA PANDEMIA?
Certo, in quei frangenti storici, pochissimi erano disposti a sostenere simili posizioni – tranne un artista francese, anch’egli “apolide”, che, pochi mesi dopo, nel 1915, su un quotidiano americano a grande tiratura afferma di ammirare quelli che combattono le guerre “con le braccia conserte”. Quell’artista pacifista era Marcel Duchamp.
Non sappiamo se Duchamp e Münsterberg si siano mai conosciuti, eppure molte circostanze sembrano avvicinare questi due personaggi tanto diversi e tanto simili, tra cui il fatto che il termine “ready-made”, prima che Duchamp se ne appropriasse, fosse stato impiegato ripetutamente da Münsterberg in molti suoi libri.
Ma c’è anche un altro elemento che avvicina Duchamp allo psicologo tedesco-statunitense, cioè la radicale dis-appartenenza culturale. Tra le tante avventure duchampiane, una, meno nota, è una preziosa testimonianza in tal senso. Nel gennaio 1917, Marcel, con l’attivista Gertrude Drick, il pittore John Sloane e altri, salì nottetempo sulla sommità del Washington Arch, nell’omonima piazza a Manhattan, per proclamare la Repubblica Indipendente del Greenwich Village. Il gesto potrebbe passare per una mera goliardata, ma se si pensa che ebbe luogo appena prima dell’entrata in guerra degli USA (nell’aprile dello stesso anno), sembra piuttosto una sorta di “Not In My Name” ante litteram. Non solo. Nell’insurrezione “poetica” di Duchamp e soci si percepisce il riverbero dell’idea “cosmocorista” di Münsterberg: infatti, dichiarando l’“indipendenza” del Village dal resto degli States, i cospiratori della Repubblica di Greenwich esprimevano il non senso di ogni appartenenza territoriale, e quindi il non senso di ogni conflitto nazionalista.
“Abbiamo edificato una civiltà planetaria basata sulla ripartizione dello spazio solo per poi trovarci davanti a un nemico universale contro cui quella stessa suddivisione non può nulla”.
Se si pensa che da quella leggendaria nottata è passato più di un secolo, si resta quasi senza parole nel dover constatare quanto poco ci siamo distaccati dalla obsoleta nozione di “territorio nazionale” a cui gli Stati, ancora in pieno XXI secolo, sono ancorati, o per meglio dire asserviti. Nel pieno dell’attuale pandemia tutto ciò a cui riusciamo a pensare è di chiudere dogane, confini, frontiere, e istituire visti, passaporti, permessi, come se non sapessimo che il virus, con ogni evidenza, se ne fa beffe. Ci troviamo così in un curioso paradosso: abbiamo edificato una civiltà planetaria basata sulla ripartizione dello spazio (terra, proprietà, Stato) solo per poi trovarci davanti a un nemico universale contro cui quella stessa suddivisione non può nulla. E se fosse giunto il momento di ripensare a un nuovo cosmocorismo?
By Marco Senaldi – artrine.com
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