LA SUA ESISTENZA FU PIUTTOSTO BREVE, MA LUIGI TRIFOGLIO SEPPE IMPORSI SULLA SCENA DELLA PITTURA ROMANA NELLA PRIMA METÀ DEL NOVECENTO. OGGI MERITA DI ESSERE RICORDATO
Tra gli artisti del gruppo della Scuola romana, Luigi Trifoglio (Roma, 1888-1939) è quasi un’apparizione, nonostante il suo indubbio talento pittorico che lo aveva portato alla ribalta nel 1921, quando aveva partecipato alla prima Biennale capitolina.
LA STORIA DI LUIGI TRIFOGLIO
Trifoglio era nato a Roma, figlio di un’umile famiglia umbra, e fin da bambino aveva dimostrato un talento per il disegno, che lo aveva portato a formarsi presso la Scuola Libera del Nudo e a esporre le sue prime tele alle mostre della Società Amatori e Cultori negli Anni Dieci. Fin dall’inizio il suo percorso si intreccia con la medicina, perché uno dei suoi maggiori collezionisti è il chirurgo romano Raffaele Bastianelli, pioniere della neurochirurgia, che durante la Prima Guerra Mondiale lo fece arruolare nella sezione medica da lui diretta. Inizialmente la sua pittura presenta toni sfumati, che diventano più incisivi nei primi Anni Venti. Trifoglio guarda allora a maestri come Giotto e Piero della Francesca, e comincia a esporre le sue opere in rassegne pubbliche, come la Mostra di Novecento a Milano nel 1926, dove Margherita Sarfattigiudica in maniera positiva alcuni suoi disegni dal tratto preciso e tagliente, tanto da inserirlo l’anno successivo nella mostra Dieci artisti del Novecento Italiano nell’ambito della XCIII Esposizione della Società Amatori e Cultori di Belle Arti in Roma.
Luigi Trifoglio, Maternità. Courtesy Berardi Arte
LA CARRIERA DI TRIFOGLIO
In quegli anni si avvicina al collega Ferruccio Ferrazzi e ne frequenta lo studio, mentre un viaggio di studio in Germania lo avvicina alla corrente del Realismo Magico e della Nuova Oggettività. Nonostante il carattere schivo e appartato dell’artista, anche nel decennio seguente gli inviti alle mostre continuano: se nel 1929 partecipa alla collettiva presso la Casa d’Arte Bragaglia a Roma, nel 1933 espone al Circolo delle Arti e Lettere di via Margutta insieme a Emanuele Cavalli e Giuseppe Capogrossi, con i quali aveva forti legami stilistici.
In questo periodo Trifoglio dipinge uno dei suoi capolavori, il Ritratto del chirurgo Gino Pieri (1931), quasi una rilettura in ambientazione medica del Ritratto di Silvana Cenni (1922) di Felice Casorati. “La figura ieratica del medico, la fissità profonda del suo sguardo, la gravità dell’espressione come quella del suo compito, rivelato dal corpo giacente in primo piano come in un’aulica deposizione laica, sembrano davvero investite nella loro astratta materialità dalla visione esistenziale dell’artista”, scrive di questo dipinto Stefano Grandesso, sottolineando la qualità di un’opera inserita nell’esiguo corpus del pittore, accanto a tele come Autoritratto in nero (Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma) e Maternità (Galleria Comunale d’Arte Moderna, Roma).
TRIFOGLIO E ROMA
Nel 1939 partecipa alla Quadriennale, ma poco tempo dopo muore, stroncato dalla tubercolosi: l’anno seguente gli viene dedicata una personale postuma alla IX mostra del Sindacato Laziale, curata da Giuseppe Pensabene, che nel 1933 aveva scritto su Emporium: “Nelle ultime esposizioni romane hanno destato molto interesse le opere di Luigi Trifoglio; un artista che lavora da anni appartato, in una ricerca coscienziosa, approfondendo, per conto suo, i problemi della pittura moderna!”.
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