QUANTO PUÒ ESSERE FRAINTENDIBILE UN’OPERA D’ARTE ANCHE PER UN CRITICO CHE NE SCRIVE? MARCELLO FALETRA RIFLETTE SU UN TEMA SPINOSO, PRENDENDO COME ESEMPIO DUCHAMP
“Nel vuoto di testimonianze dirette, cosa autorizza a raccontare a modo proprio, fantasticando a volte, le opere di cui gli artisti sono artefici?”
Marcel Duchamp, Fountain, 1917. Photo Alfred Stieglitz
Sull’inattendibilità del commento di Damus per il quale si potrebbe pisciare dentro l’orinatoio “senza tradire […] Duchamp”, lo stesso Lebel precisa che “in realtà Duchamp opera una trasformazione. Mette l’urinoir da una posizione verticale a una orizzontale, cioè l’oggetto da valore maschile è trasformato in valore femminile con una nuova denominazione Fountaine (che in francese suona al femminile). Duchamp ha operato uno spostamento di significato attraverso la parola che ha modificato lo statuto dell’oggetto. È per questa operazione di spostamento semiotico che non ha senso pensare o interpretare il gesto di pisciarvi dentro come ha equivocato Damus”. In sostanza: non è l’oggetto in sé che è opera d’arte, ma la sua dislocazione spaziale e la sua rinominazione linguistica. Ma Damus non è il solo ad aver equivocato Duchamp – e Lebel. Anche la nota critica e storica dell’arte Rosalind Krauss è smentita dallo stesso Duchamp in una conversazione con Otto Hahn, il quale riporta un passo di Krauss sull’origine di Fountaine che recita: “R. Mutt, un gioco di parole fatte col tedesco, Armutt, miseria”. Davanti a questa interpretazione (o fantasia di Krauss) Duchamp risponde seccamente: “Rosalind Krauss? La ragazza dai capelli rossi? Non si tratta affatto di questo. La autorizzo a smentire”.
“Ciò che si scrive sulle opere non sempre coincide con l’apparenza estetica di ciò che si vede e viceversa”.
Sorge spontanea una domanda: nel vuoto di testimonianze dirette, cosa autorizza a raccontare a modo proprio, fantasticando a volte, le opere di cui gli artisti sono artefici? Su questo aspetto lascio ancora la parola a Lebel: “La storia dell’arte […] non è una scienza esatta e, senza offesa per i mandarini universitari giustamente castigati da Artaud e Leiris nella loro Lettera ai rettori delle università europee del 1926, in questo campo, come in tutti gli altri, la falsa scienza regna sovrana”. Siamo nel pieno del problema del rapporto tra realtà e narrazione, in quanto esse sono state spesso definite dalla conformità tra cosa e rappresentazione convenzionale. Quante volte ci si è trovati davanti a storie verosimili (ciò che appare ovvio, l’opinione corrente) ma non davanti al vero?
È la celebre questione posta da Magritte in L’usage de la parole, cioè dell’uso delle parole che negano la cosa rappresentata come tale, alludendo che si tratta di una rappresentazione, cioè di un simulacro. Se proviamo a mettere Lebel e Duchamp al posto di Ceci n’est pas une pipe, troviamo lo stesso problema di fronte a certe letture. Ciò che si scrive sulle opere non sempre coincide con l’apparenza estetica di ciò che si vede e viceversa.
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