Emanuele Biagioni

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Emanuele Biagioni è nato a Barga nella bellissima terra di Garfagnana. Terra di incanti naturali, di poesia. Poco distante c’è la casa di Castelvecchio del poeta Giovanni Pascoli, villa settecentesca acquistata con i ricavati delle medaglie vinte con i premi di poesia latina ad Amsterdam. Da lì si vede il monte Forato, la liscia Pania, il Gragno, molle di velluto, immersi nell’ azzurro del cielo o tempestati dalla bufera. Tutto attorno è il respiro dell’Appennino, il mormorio delle acque cullanti e dolci. L’ “ora” di Barga rintocca nella vibrazione dell’ aria limpida e cristallina e sembra che riecheggi lontane favole sopite nella memoria degli uomini. Emanuele è sedotto dalla bellezza della natura, dai colori della “sua” terra, dalle brume che salgono da lontano ad “ombreggiar ” i profili delle chiese. E’ un’emozione che si traduce in poesia di colori e immagini, in ricordi di bambino, in ritagli fugaci di angoli di paesaggio. Si riversa nella sua pittura “vibrante” la forza e al tempo stesso la dolcezza di quella natura, come se Emanuele stendesse con il velo del colore sulla tela anche l’inquietudine di un verso melodioso , musicale, profondo, essenziale. Nei suoi quadri si ha come la sensazione del “viaggio” del filosofo, del poeta, a cogliere ispirazione dalla visione della natura , ad “appuntare” le memorie dei luoghi a suscitarne la bellezza nell’immagine pittorica. Emanuele conferma questa interpretazione Quando dipinge dal vero alcune tra le sue migliori tele (Luce veneziana, 2003; Pioggia sul mare, 2003; Nevicata di marzo, 1996; il Duomo di Barga e i colori Autunnali, 2002) eseguite con grande capacità di racconto lirico che ne rivela Le adesioni ad alcune correnti artistiche, prima fra tutte, l’Impressionismo. E’ infatti dall’amore per la tecnica impressionista che scaturiscono quegli effetti di luce vibranti che corrono sulla superficie del colore spesso condotto “a spatola” in materiche nuances cromatiche e accendono di atmosfere seducenti cieli, colline, città, spiagge, acque. L’artista non nasconde questo sentimento per un mondo che è filtrato dall’anima dell’osservatore, confermando la tesi che l’immagine del reale è un dato soggettivo ed impressivo, determinato da contesti di spazio e di luce, di storia e di spirito. E’ l’emozione della suggestione talvolta più reale del reale medesimo; è l’attimo di uno sguardo all’orizzonte di un tramonto; è l’inquadratura inaspettata su di un prato coperto di neve. Ciò che resta è il sentium, così lontano dalla rappresentazione fotografica del reale eppure contiguo ad esso tanto da farlo apparire interminabile ed inscindibile dal mondo delle cose. Evidenti sono i riferimenti a Monet, Sisley, Pissarro, Van Gogh, dei di un Olimpo inviolabile, consacrati alla genialità artistica, paradossalmente, dai difetti della stessa natura. Monet era presbite, Sisley era daltonico, Van Gogh aveva una percezione della realtà alterata dalla psiche, ma la natura riprodotta nei loro capolavori appare bella e sensuale, vibrante ed armoniosa, estatica e onirica. Mai potremmo asserire che quelle visioni ci siano estranee, non ci appartengano, tanto profonda è l’evocazione del reale che passa attraverso il sentium. Ebbene, Emanuele, nei suoi “appunti ad olio” stabilisce questo legame profondo tra visione e realtà, come se quest’ultima nascondesse un misterioso livello di verità che solo il rapporto emotivo artista/mondo può rivelare. La natura non è per Emanuele qualcosa “da rappresentare” bensì un’emozione da dipingere. La sua pittura ricorda la poesia semplice e pacatamente surreale del Pascoli in cui si afferma l’elegia decedente della natura: il mondo rurale con i suoi simboli che sta per scomparire. Paesaggi dal carattere intimista e solitario, avvolti dall’aura della lontananza, appesi alla memoria, sottratti alla presenza dell’uomo. Il mondo per il pittore non è un fuori “en plein air” ma un dentro emozionale, una realtà pittorica che trova sintesi in un processo del “ricordare” e si arricchisce di una molteplicità tale di percezioni che per esprimersi abbisogna dell’immediatezza della poesia. Da qui dalla urgenza di tradurre l’istante dell’emozione in rappresentazione, il Biagioni sperimenta affascinanti metodi pittorici che traducono il ritmo incessante del flusso poetico sulla tela. Il gesto è veloce e il rigore disegnativo cede il passo al dominio di una pennellata dal carattere sempre più astratto pur rimanendo al di dentro di un profilo ed un impianto “classici “. E’ un’esigenza che si rafforza nelle ultime opere che cominciano a far intravedere anche una forza, questa volta , “espressionista” e un vigore di pennellate fluide ma decise che alternano toni cupi a tocchi accesi di colore. Il giallo è una costante dominante: o germoglia improvvisamente o scorre impastato agli altri colori in una tavolozza composita dove l’interazione cromatica è corrispondente alla complessità delle sensazioni da esprimere. L’armonia nasce come per incanto dal saper ben orchestrare questa pluralità concertistica di voci e di suoni che si ascoltano sulla tela come una melodia in auditorium. L’artista come un solitario direttore d’orchestra è davanti al vuoto della tela, con mille sogni, mille immagini, mille dolori, mille passioni e ciò che rappresenta non è mai quello che osserva, consapevole di essere, fatalmente, medium sacrificale della bellezza. 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