Roberto Panico

Opere disponili

Roberto Panico è nato a Racale (Lecce) nel 1949. Dipinge dal 1986. Vive e lavora a Roma e Torre Suda, in Salento. Considerazioni sulla opera artistica di Roberto Panico Tutto ciò che sta in cielo sta in terra: il buio, la luce, “l’alto”, “il basso”, la vita, la morte. E il finito può rigenerarsi all’infinito sotto altre forme e funzioni rispettando le regole di un gioco che nessuno conosce … perchè dall’uomo inconcepibile. E’ tutto una gran festa di colori, di ombre, dove lo spazio e il tempo si scambiano le maschere strizzando gli occhi e scambiandosi battute apparentemente senza senso …mentre una armonia dionisiaca, molto pazza e indiscreta, sale e scende su improbabili scale musicali oscillanti paurosamente su vuoti immensi e “piccoli” pertugi oscuri che come bocche fameliche tritano, ingoiano, polverizzano senza porsi domande e risposte. Non c’è pietà, non c’è amore … c’è soltanto un assurdo meccanismo che azzera per ricominciare a contare dissennatamente: un Sisifo ottuso senza soluzione. E l’uomo, suo malgrado, è figurante e primo attore di questa gazzarra cosmica: …guarda, osserva, consuma a piccoli e grandi sorsi la sua esistenza cercando invano di capire, di opporsi, di concepire una visione logica, sistematica di ciò che gli sta intorno e dentro al corpo fino nel midollo delle ossa. E la paura … la terribile paura di non lasciare tracce, di dissolversi in un silenzio attonito. Dunque, cosa fare?… Cosa dire? Dove indirizzare il proprio sguardo… i propri sentimenti? Forse non rimane altro da fare che salvare dal martello del tempo alcuni oggetti, testimonianze di una vita trascorsa recanti in sé, nella loro apparente staticità e testarda materialità lo spirito di chi gli ha donato forma e funzioni: il mondo, nella sua complessità, probabilmente si rifletterà maggiormente nei particolari, negli innumerevoli oggetti comuni che hanno segnato il cammino e il lavoro umano. E Roberto Panico ha fatto questo: si è fermato, ha guardato e visto la sua intera vita in relazione ad essi: residui ineluttabilmente destinati all’oblio. Li ha raccolti… li ha osservati a lungo e ha provato una empatia profonda, ne ha avvertito l’anima … la grande storia: una falce, un punteruolo, i cardini di una porta, una zappa, un pezzo di una vecchia bilancia e tante altre cose ancora coperte dalla polvere del tempo e abbandonate in angoli oscuri di qualche stalla o vecchio casolare. Anni e anni di voci, richiami, lavoro riposti nel silenzio … in quel grande silenzio che asciuga definitivamente ogni funzione. “No, non è possibile!” si sarà detto Roberto Panico alzando la testa, osservando la sua terra, sentendo palpitare nelle vene l’avventura esistenziale della sua gente, la quotidianità di ieri, di oggi, di domani ….una continuità intrisa di parole, sensazioni e … oggetti: formidabili e muti testimoni. E così è nata la sua visione artistica, la sua opera di resurrezione delle cose “perdute”, il ristabilimento di un circuito emozionale, spirituale tra l’uomo e il suo passato, tra ciò che è, quale è stato e come diventerà. Le sue composizioni come “IL CENTRO DEL SASSO”, “PESI E VOLUMI”, “LA PORTA ROSSA”, “ESODO” evidenziano questa operazione. un vero atto d’amore nato d un profondo sentimento di appartenenza alla terra dove si nasce e dove, il più delle volte, si prende coscienza delle misteriose e complesse relazioni esistenti tra l’uomo e tutte le cose.                                                                                                     Roberto Bosco Nulla si crea- nulla di distrugge – tutto si trasforma La legge della conservazione della massa è una legge fisica della meccanica classica, che prende origine dal cosiddetto postulato fondamentale di Lavoisier, che è il seguente: « Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma ». Ad essa si può ascrivere la ricerca artistica di Roberto Panico. Quando vidi per la prima volta le sue opere rimasi folgorato. Stavano nel cofano della sua macchina, coperte da un telo. Roberto le estraeva una ad una e, come se avesse timore a mostrarmele tutte, aspettava un mio cenno di approvazione per andare avanti. Mi stupì il candore e la semplicità delle parole che usava per illustrarmele. Parlava di rastrelli, zappe, falci e altri attrezzi che aveva utilizzato ed Io, invece, vedevo tutt’altro. Vedevo opere d’arte concettuali e misteriose. Opere che si possono ricondurre addirittura alle ricerche di Ettore Colla, Pino Pascali e Enrico Castellani. Come Ettore Colla, che usava manufatti di ferro di recupero per creare geniali sculture astratte, così Roberto Panico va in giro per le masserie della sua Puglia a cercare vecchi arnesi arrugginiti di uso contadino e pastorale – una volta strumenti di uso quotidiano ed ora quasi totalmente abbandonati – e ci compone delle straordinarie opere d’Arte. Lui, però, – come Pascali e Castellani – ricopre questi oggetti con della tela che vernicia in modo uniforme e le estroflessioni che ne derivano prendono un altro significato. Si può pensare che li copra per conservarli dal deperimento totale o, invece, che voglia nasconderle per renderle ancora necessarie e attuali, valorizzarle.Perché – come insegna l’artista Christo – se si copre una cosa che normalmente è sotto i nostri occhi e per cui non ci facciamo più caso, improvvisamente quella cosa attira la nostra attenzione e ci sforziamo di ricordarla come era, ci manca. In ogni caso, quale che sia l’intenzione di Roberto Panico, le sue opere risultano originali. Se da una parte gli utensili che utilizza di volta in volta si intravvedono dall’altro sembra che svaniscano nel buio, infatti tutte le opere del ciclo “Tutele” sono verniciate di nero. A Panico, quindi, non basta coprire/nascondere, Lui sente la necessità di accentuare il mistero di cosa c’è sotto. E solo la luce bianca, forte e radente rivela la trasformazione: un’opera d’Arte e non più l’oggetto in se stesso. Se lui non mettesse quei titoli così disarmanti e semplici (“Zappa”, “Graticola”, “Pala” ecc.) a nessuno verrebbe in mente, eccetto in alcuni casi, di pensare che si tratti di tali arnesi. Ma non è un errore, anzi, è una provocazione. E’ qui che si compie l’atto concettuale: Panico ci fa vedere una tela nera che chiama “Zappa” facendo riferimento a qualcosa che però non c’è più e che solo attraverso il titolo riusciamo a percepire, intravedere, ma in quello stesso istante ci dice anche che quella è un’altra cosa, che è un’opera d’Arte. E noi la percepiamo come tale. Come Duchamp insegna. Tutti questi miei riferimenti a grandi artisti contemporanei nei confronti di Roberto Panico non debbono trarre in inganno e sembrare esagerati, sia perché li ritengo pertinenti e sia perché la sua opera, indubbiamente, ha un respiro internazionale. Ma anche perché Lui – che è stato un grande gallerista – sicuramente li ha studiati e ne ha apprezzato le ricerche. Nel suo animo e nel suo cervello, quindi, si sono sedimentate tante e tali conoscenze che hanno scaturito in Lui l’esigenza di addentrarsi nel campo creativo e tentare di fare qualcosa di nuovo. E a Roberto Panico ciò riesce benissimo                                                                Roberto Locci